"Maria - La moglie di Giuseppe, la mamma di Gesù..." è un monologo "particolare" composto da dialoghi, musiche, silenzi, danza. In questo spettacolo si rivive la nascita del Cristianesimo attraverso gli occhi e le emozioni della donna che ha permesso che tutto avvenisse.
Di Cecilia Matuonto
Era una mattina di giugno del 2008, una palestra di San Maurizio al Lambro, Milano. C’erano in corso i provini per lo spettacolo “Maria – La moglie di Giuseppe, la mamma di Gesù…”. Cercavano l’attrice protagonista. Non conoscevo Pierluigi Arcidiacono, lui non sapeva se io fossi credente, io avevo paura che il testo potesse non piacermi. Nessuno dei due sapeva che l’altro era andato in pellegrinaggio in Terra Santa pochi mesi prima, portando due storie diverse, domande diverse, allo stesso Luogo.
Non è facile mettere in scena un testo così esplicitamente religioso. Anche se l’autore sottolinea che questa vuole essere una rappresentazione “storica”, la rappresentazione della storia di una donna ebrea vissuta 2000 anni fa. Se noi credenti immaginassimo per un attimo di non credere nella Verità in essa contenuta, se i non credenti provassero a leggerla senza preconcetti, dovremmo tutti riconoscere che è una delle storie più eccezionali che siano mai state scritte, e forse anche la più triste… perché desidereremmo che fosse vera!
Non è facile portare a teatro uno spettacolo con questo titolo. Perché nessuno lo finanzia. Perché i teatri lo snobbano. Perché il pubblico è scettico. Anche se la tradizione cristiana e il suo ricchissimo patrimonio di racconti e personaggi sembra ancora oggi tutt’altro che dimenticato dalle arti e dai media. Le reti televisive continuano a proporre vecchie e nuove versioni di vite di santi, di papi, di personaggi biblici… E questo perché sono soggetti che attirano sempre un gran numero di pubblico, probabilmente anche non credente. Ma forse anche per l’esigenza di ritorno in termini di audience le storie vengono trattate in termini romanzeschi, spesso con una buona dose di sentimentalismo. In teatro e nelle arti in cui è permesso osare di più la letteratura cristiana è altrettanto sfruttata ma spesso rivisitata e re-interpretata, come d’altra parte succede anche di molti testi classici che oggi si sente l’esigenza di “svecchiare”, rendere attuali. In ogni caso, che si tratti di opere “tradizionaliste” o “innovative”, paradossalmente manca comunque coraggio. Perché oggi a osare veramente è chi decide di riproporre il racconto storico dei vangeli, così come ci è stato tramandato da secoli di tradizione cristiana, senza cercare di “attualizzarne” i contenuti, ma piuttosto riscoprendo e riaffermando un messaggio di Verità, che in quanto tale è sempre attuale. Ci si può credere o non credere, ma questa è un’altra questione.
Quindi il potenziale pubblico c’è, ed è molto esigente. Cosa per nulla negativa, ma vorrei fare una distinzione tra due tipi di critiche. La prima, di chi si aspetta che il teatro sia un luogo di innovazione e ribaltamento di ogni certezza e di ogni “ortodossia”. Per queste persone uno spettacolo che rispetti la tradizione è equiparabile a una recita scolastica, e sbrigativamente archiviato come “oratoriale”, dilettantesco. Ma la critica più insidiosa, a volte la più interessante e utile, è quella che viene da chi conosce e ama questa storia come parte di sé, ed è inevitabilmente più sensibile, più facile alla commozione ma anche più difficile da convincere. Tutti, credo, cerchiamo di immaginarci come fosse Maria, e tutti siamo stati in parte condizionati dalle immagini che l’arte in tutte le sue forme ci ha offerto. E credo che il fatto di apprezzare un quadro, di affezionarsi a un film piuttosto che a un altro dipenda anche dalla somiglianza del personaggio rappresentato con quello che esiste già nella nostra immaginazione.
Con questi pensieri, con molte domande e un po’ di timore di non essere all’altezza, mi sono accostata al personaggio di Maria quando ho saputo che l’avrei interpretata sul palcoscenico. Per interpretare un personaggio lo si “studia” per imparare a conoscerlo, a capirlo, e spesso si finisce per “amarlo”. Ora mi trovavo di fronte a un personaggio non solo realmente esistito, ma per me tuttora esistente e vivo, una persona che mi ama come una madre, molto più di quanto io riesca ad amare lei per quanto mi sforzi e lo desideri. Deve essere simile a quel che prova una persona che sa chi sia la propria madre ma non l’ha mai potuta incontrare: sente di amarla, di conoscerla carnalmente ma allo stesso tempo troppo poco. E’ l’esperienza di una appartenenza che ha in sé la nostalgia di qualcosa che non si può vedere ed abbracciare. Non più, o non ancora.
Ma i primi momenti di timore e insicurezza hanno presto lasciato posto in me a un entusiasmo, una voglia e forza di andare avanti buttandomi dentro questa avventura che oggi stupiscono anche me stessa. Potrei parlare dei tanti motivi per cui sarò sempre debitrice a questo spettacolo dal punto di vista professionale. Per un’attrice con alle spalle una discreta ma ancora non corposa carriera teatrale, il fatto di essere protagonista, e unica attrice in scena per più di un’ora, lavorando su più linguaggi corporei non è una cosa da poco. Ma a me piace molto il mio lavoro perché ogni nuova esperienza è un’occasione di crescita anche umana, perché ti costringe a “guardare in faccia”, attraverso un testo e dei personaggi fatti inizialmente “di parole”, l’essere umano. Non l’essere umano generico, ma quello vivo in carne e ossa come me. E’ stato bellissimo lavorare così su Maria. Ovviamente il percorso da me compiuto non è e non sarà mai definitivo, né assoluto. Io credo di aver “conosciuto” un po’ di più
Ora, ci si può domandare: è necessario che ci sia un “teatro cristiano”? Io non l’ho mai pensato. E’ necessario che ci sia un’arte che rappresenti la realtà, che faccia fare un’esperienza. Ma esiste forse un aspetto della vita umana, un solo gesto o un’attività che non riguardi il suo senso religioso? E se la storia della salvezza nella tradizione giudaico-cristiano è così affascinante, non è naturale che un artista che si senta figlio di essa desideri rappresentarla, così come è stato per due millenni di arte cristiana, mettendo in gioco la propria creatività per affermare questa appartenenza? Pigi Arcidiacono ormai da diversi anni scrive e mette in scena testi che rientrano a grandi linee in due filoni: teatro religioso, teatro al femminile. Con “Maria”, il primo testo ispirato direttamente alle sacre scritture, l’autore trova la perfetta unione di questi due mondi, e ora che lo conosco un po’ credo di poter intuire che l’amore e lo stupore che mostra verso il mistero di ogni donna sia strettamente legato al suo essere uomo e figlio innamorato di Maria.
Quella mattina di giugno non sono stata scelta, Pigi dice che sono “arrivata seconda”. E dice che probabilmente un angelo lo ha perseguitato finché non si è deciso a cambiare idea e a prendere me… Sta di fatto che dopo qualche mese ho ricevuto una telefonata che diceva: “Legga il copione, penserei di preparare anche lei…”. Pigi scherza sempre, o meglio, spesso. Ma io credo che un “angelo”… o Qualcun altro lassù mi abbia raccomandato. Anche se non so bene perché. Ma non importa, lo saprà Lui.
Le prossime repliche saranno:
a Milano: 22 dicembre 2009, ore 21.00, teatro Verga, via
Giovanni Verga, 5;
a Roma: 4 e 5 gennaio 2010, ore 21.00, teatro san Genisio,
via Podgora, 1.
info: www.teatromaria.it
Cecilia Matuonto (Milano 1977), attrice. Dopo il LiceoArtistico ha ottenuto
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