“Nessun colpevole può essere assolto dal tribunale della sua coscienza”.(Giovenale)
di Mauro Franciolini
Genova, capitale delle Brigate Rosse
Città plumbea, protesa tra le montagne e il mare, tra mille vicoli e case arroccate, Genova vive negli anni di piombo un periodo difficilissimo. A Genova, infatti, nasce la prima formazione di lotta armata di sinistra in Italia, quella “Banda XXII ottobre”, legata ai G.A.P. (Gruppi di Azione Partigiana) di Feltrinelli, che agisce tra il 1969 e il 1971 e che rappresenta una sorta di laboratorio per verificare l’impatto della lotta armata tra i movimenti extraparlamentari. Sul finire degli anni Sessanta, negli ambienti extraparlamentari di sinistra era diffusa la convinzione-presunzione che Genova avesse ancora conservato i connotati che l'avevano caratterizzata nel corso del secondo conflitto mondiale. Convinzioni rafforzate dai noti fatti di Piazza de Ferrari che, nel giugno del 1960, avevano causato la caduta del governo Tambroni. Per stessa ammissione degli extraparlamentari rossi, l’obiettivo era quello di introdurre, nella vita politica italiana, il metodo della guerriglia urbana, caratterizzato da esplosioni, incendi e sabotaggi, dandone la maggiore pubblicità possibile nella speranza di ottenere, in tal modo, il progressivo diffondersi di un sostegno popolare alle proprie azioni ed ai propri obiettivi. Negli anni Settanta il capoluogo ligure vive una grave crisi sociale ed economica. Sul versante politico, la vita della città è caratterizzata da agitazioni che vanno dalla ricomparsa di gruppi di estrema destra, al proliferare di formazioni di estrema sinistra. In questo contesto le BR trovano terreno fertile, perfetto anche per mimetizzarsi; e qui consumano una serie di primati, che segnano altrettante svolte fondamentali della storia dell’organizzazione. La prima è il rapimento del giudice Sossi, che costituisce il primo «attacco al cuore dello Stato», la prima volta che le BR escono dalle fabbriche, per colpire direttamente il potere politico; la seconda è il primo omicidio rivendicato, ovvero il primo omicidio politico pianificato nella storia italiana della lotta armata, con la decisione di alzare il livello di fuoco, ricorrendo all’omicidio come strumento di lotta politica, in un’ottica di preparazione alla guerra civile: è l’8 giugno del 1976 e il procuratore generale di Genova, Francesco Coco viene trucidato, con gli agenti della scorta, alle soglie della sua abitazione. La lotta armata sarà un aspetto importante della vita politica della città per tutto il decennio. Tutti sanno come andò a finire e la tragica stagione di violenza che seguì quel folle sogno di rivoluzione è oggi oggetto di studio e di analisi. Tuttavia, per cercare di comprendere meglio i fatti che saranno rievocati, è necessario fare un passo indietro nella storia fino ai drammatici giorni della guerra civile.
Genova, città Medaglia d’oro della Resistenza
A Genova, il movimento partigiano fu monopolio del Partito comunista che, fin dall’inizio, volle imprimere alla lotta un ritmo feroce e spietato. Gli obiettivi strategici dei comunisti furono essenzialmente due: esasperare i fascisti, spingendoli a reazioni sanguinose ed inconsulte, che avrebbero coinvolto molti innocenti seminando l’odio attorno al fascismo repubblicano; costringere gli antifascisti non comunisti ad accettare la lotta sul piano dello scontro armato finendo per assecondare il progetto del P.C.I. A Genova, tra il settembre 1943 ed il marzo del 1944, furono oltre 150 i fascisti repubblicani uccisi dal 1° Gruppo d’azione patriottica, composto da Giacomo Buranello, Walter Fillak, G.B. Torre e Germano Jori: nomi ricordati oggi nella toponomastica del ponente cittadino. Sotto
La morte di Ugo Venturini
Il 18 aprile
L’omicidio di Alessandro Floris e il sequestro di Mario Sossi
Il 26 marzo del ‘71, alle 10.30 del mattino in via Bernardo Castello due uomini armati aggrediscono il portavalori dell’Istituto Autonomo della Case Popolari (IACP), Alessandro Floris: gli strappano di mano la borsa con stipendi e scappano. Floris li insegue, i rapinatori salgono su una lambretta che però non parte, il giovane portavalori è sempre più vicino e allora uno dei due, Mario Rossi, gli spara ferendolo a morte. Dalla finestra un giovane studente di fotografia però ha visto e fotografato tutto: una foto ritrae i due rapinatori sulla lambretta mentre Floris, a terra, è in fin di vita. Nel corso della fuga sulla Lambretta, i due terroristi vengono raggiunti da alcuni cittadini, poi si dividono e uno viene fermato poco dopo da due brigadieri. Mentre l’altro verrà individuato dagli inquirenti grazie alla foto e verrà arrestato a Milano nel
La colonna genovese delle Brigate Rosse
La colonna genovese vera e propria nasce nel 1975 e la sua storia si snoda lungo il quinquennio successivo, fino alla sconfitta militare del 1980. Nel corso dei cinque anni di attività, le BR genovesi porteranno a termine nove omicidi, sedici ferimenti, un’aggressione (22/10/75: Vincenzo Casabona, capo del personale dell’Ansaldo meccanico, sequestrato ad Arenzano, picchiato, fotografato e rilasciato in serata a Recco), due assalti militari (14/1/76: attaccate due caserme dei carabinieri) e altre imprese di minore gravità (8/10/75: rapina allo sportello della Ca.ri.ge. all’interno dell’Ospedale San Martino; 11/4/78: rapina alla Banca Popolare di Novara). Già da queste cifre è possibile dedurre l’implacabile efficienza militare di questa colonna. La gran parte dei militanti della colonna genovese, sono cresciuti dentro i servizi d’ordine dei gruppi dell’estrema sinistra, sono abituati a considerare la violenza come pratica politica. Nella prima fase la colonna è formata da pochi militanti regolari che si raccolgono intorno a Rocco Micaletto, braccio destro di Mario Moretti, convenuto con lui a Genova, con l’incarico di assumere il comando della nascente organizzazione. I primi militanti sono: Fulvia Miglietta, Riccardo Dura (detto “Pol Pot” all’interno dell’organizzazione), Livio Baistrocchi e Francesco Lo Bianco. Secondo i suoi fondatori e dirigenti, anche nel capoluogo ligure le Brigate rosse dovevano "indicare il cammino per il raggiungimento del potere e l'instaurazione della Dittatura del Proletariato e la costruzione del comunismo anche in Italia", che doveva realizzarsi attraverso azioni politico-militari e documenti di analisi politica dette "risoluzioni strategiche", che indicavano gli obiettivi primari e come raggiungerli. Le prime azioni sono dimostrative. Volantinaggi e piccoli attentati incendiari contro le automobili di capi reparto particolarmente zelanti durante i durissimi conflitti sociali che percorrevano
Composizione della Direzione di colonna a Genova attraverso gli anni
MEMBRI DELLA
Micaletto, Miglietta, Dura (Baistrocchi) Gennaio – fine Giugno 1977
Micaletto, Miglietta, Dura, Nicolotti, (Baistrocchi) Luglio – Ottobre 1977 (circa)
Micaletto, Miglietta, Dura, Nicolotti, Baistrocchi, Guagliardo Dicembre 1977 – Maggio 1978
Miglietta, Dura, Nicolotti, Baistrocchi, Guagliardo Dicembre 1978 – Marzo 1979
Miglietta, Dura, Baistrocchi, Panciarelli Aprile 1979 – Giugno 1979
Miglietta, Dura, Baistrocchi, Panciarelli, Lo Bianco Luglio 1979 – 28 Marzo 1980
Baistrocchi, Lo Bianco, Carpi Aprile 1980 – Agosto 1980
Lo Bianco, Balzerani Luglio 1980 – Aprile 1982
I capi colonna
CAPOCOLONNA NOME DI BATTAGLIA PERIODO
Rocco Micaletto Lucio dal Gennaio 1975 all’Aprile 1978 (circa)
Riccardo Dura Roberto dall’Aprile 1978 al 28 Marzo 1980
Francesco Lo Bianco Giuseppe dall’Aprile al Luglio 1980
Barbara Balzarani Sara dal Luglio 1980 all’Ottobre 1981 (circa)
Il primo omicidio rivendicato delle BR L’8 giugno del 1976 il Procuratore generale Francesco Coco mentre sta tornando a casa sulla sua auto di servizio con
Il 12 gennaio del 1977 un commando delle BR rapisce l’armatore Piero Costa. Dopo 81 giorni di prigionia, la famiglia decide di pagare il riscatto: le BR entrano in possesso di 1 miliardo e mezzo di lire, cifra che garantirà loro la sopravvivenza per diversi anni. Il pagamento avviene a Roma, mentre la liberazione a uno svincolo dell’autostrada di Genova. La polizia non riesce a individuare i responsabili del rapimento, e solo dopo il rilascio si viene a sapere che l’operazione era opera di membri delle BR. Dall’inizio di giugno ‘77 al luglio ‘78 vengono colpite diverse persone: 1/6/77: Vittorio Bruno, vicedirettore de “Il Secolo XIX” (si tratta del primo giornalista “gambizzato”); 27/6/77: Sergio Prandi, dirigente Ansaldo; 10/7/77: Angelo Sibilla, segretario regionale della DC; 17/11/77: Carlo Castellano ovvero il direttore della pianificazione dell’Ansaldo: è il primo membro del PCI ad essere colpito dalle BR e oggi afferma: “Le persone a cui sparavano non erano persone umane ma simboli, icone. Dietro noi non c’era una storia per loro, ma solo un simbolo da colpire”; 18/1/78: Filippo Peschiera, docente di diritto del lavoro; 6/4/78: Felice Schiavetti, presidente Associazione industriali di Genova; 4/5/78: Alfredo Lamberti, funzionario Italsider; e, infine, il 7/7/78: Fausto Gasparino, vicedirettore Intersind.
La morte di Antonio Esposito
Tra gli obiettivi principali delle BR naturalmente ci sono le forze dell’ordine. Quando nel febbraio del ’78 vengono chiusi i nuclei antiterrorismo,
L’assassinio di Guido Rossa
Guido Rossa è un delegato sindacale dell’Italsider, la fabbrica di acciaio della città. Una città nella città. Qui il 24 ottobre del ‘78 un altro operaio, militante delle BR, Francesco Berardi, viene sorpreso a distribuire volantini con la stella a cinque punte. Poiché il consiglio di fabbrica in quei mesi aveva dato l’ordine di consegnare alla vigilanza interna qualsiasi materiale propagandistico fosse stato pervenuto, Guido Rossa è l’unico ad avere il coraggio di raccontare l’accaduto. Testimonia quindi al processo nel quale vengono dati quattro anni di reclusione a Berardi (che in seguito di suiciderà). Il 24 gennaio del ’79 un commando delle BR composto da Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi decide di fare vendetta. Non è ancora l’alba e Guido Rossa esce di casa, entra in macchina e qui viene colpito al cuore da un proiettile. Le BR hanno ucciso un operaio, un operaio comunista. Il giorno dopo per le strade della città sfilano 250mila persone per dire finalmente “basta”! Eppure il giornale di Lotta Continua titola: “Ora che un delatore è morto”...Nel 2008
Tra il 24 aprile e il 31 maggio del ‘79 la colonna genovese ferisce ancora. 24/4/79: Giancarlo Dagnino segretario amministrativo della DC; 30/4/79: Giuseppe Bonzani, direttore dell’Ansaldo; 29/5/79: Enrico Ghio, consigliere comunale della DC; 31/5/79: Fausto Cuocolo, docente universitario. Il 21 novembre del ‘79 il maresciallo Vittorio Battaglini e il carabiniere scelto Mario Tosa, da tempo nel mirino delle BR, vengono uccisi mentre prendono il caffè in un bar di Sampierdarena. Entrambi muoiono sul colpo. Due mesi dopo, il 25 gennaio ’80 a cadere sono altri due carabinieri. In via Riboli, una stradina molto stretta del quartiere di Albaro, alcuni brigatisti aspettano l’auto che trasporta il tenente colonnello dell’esercito Luigi Ramundo, il colonnello dei carabinieri Emanuele Tuttobene e il suo autista l’appuntato Antonino Casu e iniziano a sparare una raffica di colpi. Dall’attentato si salverà solamente Ramundo. Il 29 febbraio di quello stesso anno è la volta di Roberto Della Rocca, il capo del personale della Motomeccanica Generale Navale, mentre il 24 marzo di Giancarlo Moretti, consigliere comunale DC e docente di diritto tributario. Entrambi vengono feriti, ma fortunatamente le loro condizioni non sono gravi e si salvano. Ricordando quei drammatici giorni, Fausto Cuocolo disse: “Subito dopo la gambizzazione, lo stress post-traumatico – che purtroppo non viene mai adeguatamente valutato – è stato altissimo. Ho avuto moltissime difficoltà nel vivere blindato e sotto scorta, con limitate possibilità di movimento. E, quel che rimpiango maggiormente, è il tempo trascorso senza i figli, senza poterli portare a giocare fuori o a fare una passeggiata. Questo per me è stato il danno esistenziale più grave. Ho trascorso più tempo in questa situazione di prigioniero in casa mia io, che i miei attentatori (in galera)”.
La strage di via Fracchia
In quei giorni a Torino il brigatista Patrizio Peci, arrestato il 19 febbraio, decide di parlare: è il primo pentito delle BR. Grazie alle sue
Dati riassuntivi sulle vittime in Italia tra il 1969 e il 1981.
VITTIME INDIVIDUALI DEL TERRORISMO: 176
VITTIME DI STRAGI TERRORISTICHE: 135
VITTIME DI ATTENTATI DI TERRORISMO INTERNAZIONALE: 58
VITTIME DI VIOLENZA POLITICA: 41
TOTALE: 410 MORTI
Ai quali vanno aggiunti le decime di vittime di forze dell’ordine in azioni di antiterrorismo e migliaia di feriti negli oltre 7.000 attentati compiuti.
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