EDITORIALE

31 gennaio 2010

di Paolo Deotto

Il 27 gennaio, si è celebrata la “Giornata della Memoria”, in ricordo delle vittime della follia nazista. A Milano, alla Stazione Centrale, sono stati allestiti alcuni vagoni dello stesso tipo di quelli che trasportarono gli ebrei ai campi di sterminio. Abbiamo avuto discorsi ufficiali, solenni dichiarazioni affinché tali mostruosità non abbiano a ripetersi, eccetera. Tutto bello, tutto giusto. Nessuno può scordare il martirio delle vittime del nazismo, un’ideologia di morte che non può essere in alcun modo giustificata.

Tutto bello e tutto giusto, ma, ahimé, anche l’ennesimo segno dell’ipocrisia della società attuale, un’ipocrisia ormai così radicata, abituale, da divenire schizofrenia.

Il 9 febbraio sarà passato un anno dalla morte di Eluana Englaro, uccisa da un’ideologia di morte (in questo numero trattiamo proprio di questo in due articoli), che ha radici assolutamente naziste, postulando una sorta di folle possibilità, per alcuni, di decidere chi sia “degno di vivere” e chi no. Da anni e anni, con il trionfale ingresso della famigerata legge 194, ogni anno uccidiamo diecine di migliaia di esseri umani, assolutamente indifesi e assolutamente innocenti. Anch’essi però per l’ideologia di morte hanno commesso un crimine, lo stesso commesso dagli Ebrei: quello di esistere, pur essendo sgraditi. E quindi possono essere uccisi. E insieme a queste creature viene ucciso anche l’animo della madre, che non potrà che portare in sé, tutta la vita, il peso di aver dato la morte a un essere umano che viveva nel suo grembo.

La Società si è imbarbarita in un modo terribile. Le ideologie che hanno voluto sostituire Dio con una “libertà” mal intesa non hanno portato che morte e disperazione. La diffusione dell’alcol e della droga tra i giovani è un segno evidente di fuga disperata da una realtà sempre più insostenibile. D’altro lato a questi giovani vengono offerti modelli sempre più negativi, sicché molti sono pronti a tutto pur di avere il “successo”, pur di comparire in televisione. L’immagine ha preso il posto della sostanza, ed è un’immagine sempre più povera, squallida, perché retta solo da ideali malsani. La stessa lotta politica è degenerata in odio allo stato puro; non esiste più l’avversario da battere con la dialettica e con le proposte più valide, esiste il nemico da distruggere, al di là di ogni considerazione per il bene del Paese.

E così ogni tanto questa società allo sbando vuole ricostruirsi un pezzo di verginità morale. È molto bello battersi all’Onu per la moratoria sulla pena di morte (a parte il fatto che nei paesi in cui è in vigore continua ad essere applicata…), ed è molto bello fare alati discorsi sul crimine nazista. Ma è anche molto ipocrita, perché Hitler è tutt’altro che morto, non siamo riusciti a ricacciarlo nell’inferno da cui era uscito. Hitler sta vincendo, perché l’esito finale della sua ideologia era la morte, e questa società la dispensa allegramente ai più indifesi, nascondendosi sotto la flebile scusa del “rispetto della volontà del malato” (nel caso dell’eutanasia) o dei tanti “casi umani” che giustificherebbero il crimine dell’aborto.

E allora, vorrei fare una proposta. Smettiamola con le cerimonie, anche perché, volendo, di olocausti ne avremmo diversi da ricordare. Valga per tutti l’olocausto armeno del 1915 (il nostro Alberto Rosselli fu addirittura oggetto di minacce di morte per averne parlato in diversi libri). Ma che dire dello sterminio del popolo cambogiano, distrutto per un terzo dalla bestialità dei Khmer rossi di Pol Pot?

Vorrei proporre una moratoria anch’io: la moratoria all’ipocrisia. Si porterebbe più rispetto alle vittime stando zitti, per un ottimo motivo: chi dice che “mai più si ripeteranno simili mostruosità” dice semplicemente una menzogna. La mostruosità si ripete quotidianamente col crimine dell’aborto, e ci sono tutte le premesse perché si commettano altre mostruosità,perché quando si perde il concetto della sacralità della vita, quando ci si crede arbitri della vita e della morte, tutto può accadere.

So di poter dire queste cose tranquillamente, anche se qualche imbecille di sicuro mi dirà che sono filonazista o antisemita. Nipote di un ebreo tedesco (mio nonno materno), ho molti amici nella comunità ebraica di Milano, ho anche collaborato con un casa editrice ebraica. Ho sentito da mia madre molte cose, molti ricordi di quel periodo, cose così terribili da non poterle dimenticare. E proprio perché amico di tanti ebrei, e proprio perché ho il massimo rispetto delle loro terribili sofferenze, vorrei che cessasse questa sagra delle ipocrisie. Incominciamo a ripulire la nostra lercia casa, poi potremo criticare le sporcizie altrui.

Infine, da modesto storico quale sono, mi si consenta una notazione: chi parla di “nazifascismo” non sa quello che dice, date le differenze profonde tra i due regimi. Le leggi razziali restano una macchia vergognosa nella nostra Storia, ma se qualcuno volesse leggersi la normativa fascista in materia di leggi razziali, si renderebbe conto di quanto fossero norme “all’italiana” che lasciavano ampio spazio alle deroghe. E finché Mussolini poté esercitare la sua autorità (25 luglio 1943) gli ebrei italiani, seppur umiliati da norme ingiuste, non subirono deportazioni. E nella stessa Repubblica Sociale il ministro degli interni, Buffarini Guidi, aveva dato ordine di non consegnare gli ebrei ai nazisti. Ma sappiamo bene che i tedeschi prendevano ciò che volevano, con i metodi che volevano. Nelle radiose giornate della Liberazione mia madre mi raccontò di aver visto fucilare nella pubblica via il segretario del Fascio di Monza, uomo mite, stimato da tutti, e benvoluto anche perché era riuscito, grazie alla sua carica, a salvare molti ebrei, facendoli fuggire con documenti falsificati. Ma si erano girati i campi: a quel punto il crimine di esistere veniva imputato ai fascisti, o meglio a quelli che non avevano voluto cambiare lestamente la casacca…

Vuoi inviare questo articolo a un amico? clicca qui sotto