Dopo la caduta del comunismo nei paesi dell’Europa dell’Est — qui da noi stiamo ancora aspettando e sperando — abbiamo iniziato, io e mio marito, a visitare quelle fortunate nazioni.
di Maria Antonietta Novara Biagini
La prima città da noi visitata è stata Praga nel 2001. Avendo presente Kafka, pensavamo di trovare una città cupa e triste. Invece è una città gioiosa, invasa da turisti e da giovani provenienti da tutto il mondo. Però, guardando qua e là con attenzione, si trovano le tracce del drammatico passato. Sul muro dell’Università un busto di Jan Palach ricorda il sacrificio di quel giovane per protestare contro i carri armati giunti a soffocare ogni tentativo di libertà. In qualunque stagione ai piedi del muro vi è sempre un mazzo di fiori freschi.
Nell’enorme piazza S. Venceslao, una semplice aiuola con una croce di legno ricorda il luogo dove Jan Palach si dette fuoco. La semplicità del sito commuove più di un enorme mausoleo. Mausolei del genere sono piuttosto retaggio dell’odiato regime precedente.
Ma è al di fuori dei percorsi turistici che si trovano le testimonianza dei drammi vissuti dalle popolazioni. Esempio per tutti il convento oggi chiamato Emmaus, che è attualmente in fase di ricostruzione. Distrutto da un bombardamento americano nel febbraio 1945, al suo interno una piccola targa racconta l’odissea dei frati benedettini prima con l’occupazione tedesca: alcuni furono fucilati, gli altri che poterono si rifugiarono in Italia. Tornati alla fine della guerra, furono imprigionati, torturati ed alcuni uccisi dai comunisti che avevano sostituito nei metodi e nelle crudeltà il potere nazista.
La seconda tappa del nostro itinerario nei paesi dell’ex cortina di ferro è stata l’ex DDR, in particolare Dresda e Lipsia.
Siamo giunti a Dresda per la prima volta provenienti da Praga. La strada che conduce al centro della città è un lungo e largo viale alberato, potrebbe essere bello. Solo che ai lati è fiancheggiato da decine di case tutte uguali, alte tutte sedici piani, in condizioni disastrose, con intonaci staccati, terrazzi rotti e che danno una sensazione di enorme squallore. Bisogna però ricordare che Dresda è stata completamente distrutta dal più feroce ed inutile bombardamento della II guerra mondiale. Il 13-14 febbraio 1945 aerei angloamericani bombardarono, incendiarono, mitragliando con voli a bassa quota i bambini mascherati per il carnevale; le cifre ufficiali parlano di 100.000 morti, ma altre voci fanno salire il numero delle vittime a circa 300.000. Causa l’alto numero di sfollati dai centri vicini che fuggivano l’arrivo dell’Armata rossa e cercavano rifugio a Dresda,
Il magnifico centro storico, ricco di palazzi, chiese e monumenti è stato in parte ricostruito fedelmente, grazie alle foto d’epoca e ai quadri di Bernardo Bellotto. Nella piazza centrale
Nella Neustadt, la città nuova barocca, nella chiesa dei Re Magi, abbiamo scoperto la realtà delle preghiere per la pace: cose completamente sconosciute ancora oggi in Occidente. L’immagine che avevamo della DDR era quella di uno stato feroce, che uccideva i suoi cittadini, o per meglio dire prigionieri, che cercavano di fuggire all’Ovest. Che alle Olimpiadi e ad ogni competizione sportiva vinceva decine di medaglie con atleti soldati, allevati come polli in batteria, drogati e gonfiati con ogni tipo di doping, per proclamare con le loro vittorie la supremazia della loro ideologia. Di un paese sempre in prima fila ad inviare l’aiuto fraterno di soldati e carri armati per stroncare le rivolte nei paesi vicini; se a tutto si aggiunge anche il ricordo del nazismo, dal quale
Giungendo invece a Lipsia, si viene accolti da una stazione fantastica, con tre piani di esercizi commerciali, ricchi di ogni merce, con ascensori in vetro che portano turisti e cittadini ai vari negozi e ristoranti.
Ma è qui a Lipsia che abbiamo scoperto ciò che in Occidente quasi nessuno sa della vita nell’ex DDR.
La scoperta fu casuale. Essendo domenica, cercammo una chiesa dove poter assistere alla Santa Messa. Non è che a Lipsia abbondino le chiese, soprattutto quelle cattoliche risultano quasi del tutto assenti.
Infine, nella Nikolaistraße, vedemmo una chiesa, le bandiere della pace all’esterno: memori di quello che sotto quelle bandiere della pace era avvenuto a Genova nel 2001 ci diede non poco fastidio. Si trattava di una chiesa luterana, ma nel pomeriggio vi veniva celebrata
Al centro della chiesa vi era un treppiede pieno di lumini sempre accesi. Era chiamato Osterlichtbaum (candelabro pasquale). Vi era una scritta che ne spiegava il significato. Questa ne è la traduzione.
“In tutti i secoli durante i quali la chiesa di San Nicola ha esercitato il suo ministero come parrocchia nel centro di questa città, essa ha dato ai cristiani il coraggio di portare in questo edificio la quotidianità della loro vita presente.
“Mediante una novena di preghiere per la pace a partire dal 1980, abbiamo vissuto un’esperienza di rifiuto della violenza simboleggiata dalle candele. Nacque così l’idea di questo candelabro pasquale, che abbiamo cominciato ad usare nelle celebrazioni a partire dal 1995. Le quaranta opportunità di accendervi una candela gettano un ponte tra il tempo della Bibbia e il nostro presente:
“ — quaranta giorni e notti Mosè rimase sul monte Sinai (i Dieci Comandamenti),
“ — quaranta anni vagarono gli israeliti nel deserto dopo la liberazionne dall’Egitto,
“ — quaranta giorni digiunò Gesù prima di entrare nella Sua vita pubblica,
“ — quaranta giorni durarono gli incontri fra Gesù risorto e i suoi discepoli e discepole, da Pasqua fino all’Ascensione,
“ — ed infine i “nostri” quarant’anni 1949-1989.
“Le graffette intorno allo stelo fino alla corona sono rotte, a simboleggiare catene spezzate, che ci ricordano che in questa chiesa gli uomini trovarono il coraggio e la forza di vincere la paura e di spezzare le catene della dittatura internazionalista.”
In fondo alla chiesa un opuscolo in tutte le lingue racconta come nel 1980 alcuni ragazzi avessero cominciato a riunirsi in quella chiesa a pregare per la pace, che per loro consisteva nella caduta del comunismo, e di mese in mese, sempre aumentando di numero, perseguitati dalla polizia, bastonati, impediti di pregare nella chiesa, al loro posto accesero candele e tutta la chiesa era illuminata da queste che rappresentavano i fedeli in preghiera, mentre all’esterno la folla che sempre più si radunava veniva per dieci ora bastonata e identificata dalla polizia. Poi non bastò più la chiesa, né la piazza finché il 16 ottobre 1989 settecentomila persone (stima di un maggiore della Stasi), tenendosi per mano e pregando circondarono tutto il centro di Lipsia sfidando la polizia e da lì partì quello slancio che distrusse il muro e conquistò finalmente la libertà.
Poco lontano di lì il museo della Stiftung Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland (Fondazione Casa della Storia della Repubblica Federale di Germania) mostra le testimonianze filmate di cittadini che all’arrivo dei “liberatori” americani avevano esultato per la fine della guerra e, dopo il trattato che assegnava l’est della Germania ai russi, furono rinchiusi dai nuovi “liberatori” nei lager, svuotati dei precedenti ospiti. Molti di essi erano ragazzi adolescenti e donne che nulla avevano fatto di male durante la guerra. La mostra fa vedere la distruzione con la dinamite di numerose chiese dove si pregava e solo per questo considerate covi di sovversivi. Tra queste la cappella cattolica dell’università, minata e fatta saltare in aria il 30 maggio 1968, sostituita da orride costruzioni in stile staliniano che circondavano la piazza, cuore del quartiere universitario, denominata dal regime Karl-Marx-Platz; adesso la piazza viene riportata alla sua originaria configurazione e la cappella ricostruita sarà inaugurata nel 2009.
Presso al centro, al numero 24 del viale di nome Dittrichring, sorge un enorme edificio noto come Runden Ecke (“Angolo rotondo”, per la forma arrotondata di un angolo nella facciata prospiciente il viale). Questo edificio, per l’imponenza e il pregio della zona in cui sorge, avrebbe facilmente potuto essere oggetto di speculazione edilizia. Invece si è voluto conservarlo alla memoria storica. Era infatti sede della Stasi, ed è trasformato ora parte in museo e parte in un centro di assistenza alle vittime della polizia segreta. L’ufficio, però, che dovrebbe assistere questi poveretti, che sono poi la quasi totalità della popolazione, non riesce a svolgere il suo compito, perché il regime è stato così brutale che le vittime ancora oggi si vergognano a chiedere aiuto.
Il museo offre un campionario agghiacciante di quello che era la vita nell’ex DDR. I cittadini erano tutti e sempre spiati. Si conservano ancora barattoli dove erano ermeticamente sigillati i rivestimenti delle sedie dove i “sospetti” si erano seduti lasciandovi il proprio odore, così da far annusare questi reperti ai cani se fosse stato “necessario” trovarli per arrestarli (vedi il film “Le vite degli altri”). Filmati su come i giovani venissero inquadrati militarmente e addestrati negli sport per la gloria del partito. Sistemi di ascolto telefonico, celle per le torture e quant’altro poteva essere utile a distruggere la vita dei sudditi.
A questo orrore faceva da contrappunto in ogni città e in ogni chiesa la preghiera costante per lunghi anni perché tutto ciò finisse. Ed alla fine si vide quante divisioni aveva il Papa, e non solo il Papa, perché tutte le chiese, anche quelle protestanti, furono unite in questa meravigliosa prova di Fede che abbattè la tirannide senza versare una sola goccia di sangue,
Alla Fiera del Libro di Lipsia, situata in una magnifica nuova sede tutta vetro e acciaio, fra alberi e laghetti, resa ancora più suggestiva dalla nevicata che aveva ricoperto la città fin dalle prime ore del mattino, incontriamo lo scrittore Erich Loest, uno dei più noti perseguitati politici, autore di magnifici romanzi come Nikolaikirche (Leipzig, Linden-Verlag, 1995, ripubblicato numerose volte, sulla novena di preghiere iniziate alla chiesa di San Nicola, che, come abbiamo visto. portarono alla caduta del regime comunista), Sommergewitter (letteralmente “temporale estivo”, Göttingen, Steidl, 2005, sull’insurrezione anticomunista del 1953), Prozesskosten (Göttingen, Steidl, 2007, opera autobiografica sui lunghi anni passati in carcere dall’autore), tutte opere che raccontano le tragiche vicende della vita quotidiana nella ex DDR. Non si capisce (o forse si capisce anche troppo) perché questo validissimo scrittore è sconosciuto in Italia. Prima di blaterare di accogliere qui da noi la mummia di Lenin, diventata prevedibilmente insopportabile ai russi, sarebbe il caso di far leggere i libri di Erich Loest ai seguaci incalliti di questo odioso ideologo, ammesso che siano capaci di capirli.
L’UNGHERIA
L’Ungheria è stata, nel 2007, l’ultima tappa, per ora, nei nostri viaggi al di là della ex cortina di ferro. Già dall’aereo Budapest appare come una metropoli. Le grandi strade di Pest, con la serie di palazzi ottocenteschi e Sezession, raccontano il passato grandioso della città sotto gli Asburgo. Sulla collina di Buda, che è un vero gioiello, a fianco del grandioso Palazzo reale colpisce la modestia del Palazzo del Presidente della Repubblica: solo una bandiera davanti al portone, non si vedono poliziotti e la piazza è aperta alla libera circolazione di turisti e cittadini.
Nella centrale Andrassy utca (pronuncia “uza”), al numero 60, colpisce un palazzo grigio. Un grosso cornicione reca impressa la parola “TERROR” ed una stella sull’angolo, simbolo della brutale repressione comunista dell’eroica insurrezione del 1956. Nel sinistro edificio, ribattezzato “Terror Háza” (Casa del terrore), già sede della polizia segreta ÁVH, i piani dei ballatoi costituiscono il percorso di visita. All’interno, in un piccolo cortile, giace un carro armato sovietico, ormai inoffensivo, che perde continuamente olio, e quest’olio ha una funzione simbolica e visuale ben precisa. La perdita di olio significa che la macchina ormai impotente, già appartenente al regime sconfitto e abbattutto, e ora in mano ai vincitori, ha cessato di rappresentare una minaccia. L’olio sparso sulla piattaforma che sostiene il carro armato forma una superficie che riflette le pareti circostanti dello stretto cortile, pareti interamente tappezzate di piccole fotografie delle innumerevoli vittime della brutalità del regime, ed ogni immagine viene quindi moltiplicata.
Le scritte e i filmati in questo museo del terrore comunista sono esclusivamente in magiaro (solo qualche foglio ciclostilato in inglese aiuta lo straniero a camprendere quanto viene spiegato). Ma è giusto che sia così: è cosa loro. Nessuno li ha aiutati. L’eroica rivolta del 1956 è stata soffocata nel sangue tra la cinica indifferenza dei governi occidentali e dei grandi potentati finanziari, interessati agli affari con i satrapi comunisti e al decentramento dei loro investimenti fuori dalle regioni ricche e dalla manodopera troppo costosa. Al tempo stesso i vili e abietti dirigenti dei partiti comunisti dell’Occidente approfittavano della libertà di cui godevano nei rispettivi paesi per caldeggiare con entusiasmo le repressioni sulle inermi popolazioni oltre cortina.
Nelle varie sale che costituiscono il museo si vedono filmati che riguardano la rivolta e le immagini terribili del processo al santo ed eroico Cardinale Jószef Mindszenty. Fa particolare impressione l’immagine del cardinale ripreso prigioniero sulle poggiolate percorse anche da noi, con lo sguardo stralunato per le torture e la privazione di sonno, inflittegli per fargli “confessare” ciò che gli aguzzini avevano già in partenza predeterminato.
Un ascensore porta nei sotterranei, dove sono le lugubri celle che accolseero tante vittime. Un corridoio tutto tappezzato in rosso accoglie alle pareti le foto degli aguzzini che si macchiarono del sangue dei loro compatrioti.
La cattedrale di Santo Stefano è il cuore dell’Ungheria cristiana e con la sua grandiosità simboleggia la robusta Fede di questo popolo oppresso prima per lunghi secoli dai turchi e poi dall’ateismo materialista, ma alla fine “Christus vincit”. In una piccola cappella vicino all’ingresso vi è una commovente statua in bronzo del Cardinale Mindszenty, crocifisso ad una croce formata da una falce e martello e da una svastica. Anch’egli, come successe a molti cittadini dei paesi dell’Est passò dall’oppressione nazista (sotto la quale conobbe pure il carcere) a quella comunista: due facce odiose del materialismo ateo. Ma due olandesi passano davanti al monumento e lo scherniscono (mio marito parla olandese ed ha potuto capire sia la nazionalità sia le parole dei due). Eccolo l’Occidente immerso nel benessere, nemico del bene e nemico di se stesso.
A Esztergom, sede primaziale ungherese, è sepolto, dal 1990, il grande ed eroico Cardinale. Siamo gli unici del nostro gruppo a voler visitare la sua tomba. La cripta della cattedrale è grandiosa e solenne, più bella e mistica della chiesa soprastante. Ci soffermiamo in preghiera chiedendo aiuto per l’Europa, così ignorante della parte migliore della sua storia, dove le persone di valore sono misconosciute, i santi denigrati e insultati, e dove trionfano nichilismo ed amoralità.
Maria Antonietta Novara Biagini è nata a Genova. Ha frequentato fino alla maturità classica l’Istituto “Assunzione”. Si è poi iscritta alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova, senza però impegnarvisi al punto da giungere al conseguimento della laurea, preferendo invece occuparsi della sua famiglia invece di abbandonarla in mano a truppe mercenarie. Nello stesso tempo ha potuto sviluppare i propri interessi culturali e le proprie curiosità anche attraverso viaggi in quasi tutte le parti del mondo, approfondendo e fortificando una formazione cattolica e controcorrente. Su istigazione del Professor Piero Vassallo ha cominciato a scrivere saggi e racconti, e da allora non si è più fermata. È sposata da molti anni col Professor Emilio Biagini.
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